L’ultimo giro in bici
In ricordo di Gianluca: un’amicizia senza fine
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Il fiume Adige fra Bolzano e Trento
Premessa
Questo è un breve racconto di un’amicizia durata tutta la vita. Gianluca è venuto a mancare a cinquantatré anni dopo una breve malattia. Purtroppo, non ho avuto modo di salutarlo prima che partisse per il suo ultimo viaggio, il più importante, il viaggio verso la nuova vita, e me ne rammarico. Gianluca ha affrontato la malattia con grande dignità e coraggio, avvolto dal calore della sua famiglia.
Il giorno in cui ci siamo conosciuti: la scuola media.
Era il primo giorno di scuola media, la scuola Giulio Cesare Croce, scrittore del nostro paese che narrò le imprese di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno. Quei tre anni di scuola media sono stati i più belli della nostra vita. Avevamo una classe molto umana e affiatata. Professori di una volta ai quali interessava non solo trasmetterci cultura e capacità di ragionamento ma anche educazione e umanità. Una di queste professoresse, quella di matematica, voleva bene a tutti gli studenti a tal punto che, se si accorgeva che uno di noi era in difficoltà con qualche argomento, a volte nel pomeriggio andava nella casa dell’alunno per dargli un aiuto supplementare.
Con Gianluca nacque subito un’amicizia forte, avevamo molti interessi in comune: dai giri in bicicletta per il paese, ai motori, al disegno e agli stessi programmi in tv come Hazzard, i Chips, Happy Days e altri ancora tipici di quel periodo in cui la televisione si era arricchita di tanti canali che trasmettevano, tutto il giorno senza interruzioni, i nuovi cartoni animati giapponesi e i telefilm americani. Gianluca aveva una bici da cross verde con la sella lunga e il manubrio sportivo. Gianluca fin da bambino è sempre stato robusto, torace imponente e di statura alto circa come me, occhi di un colore verde tendente all’azzurro. Eravamo compagni di banco e insieme con molti altri compagni di classe eravamo sempre molto allegri e scherzavamo spensierati su tutto quello che ci capitava, A quell’età sognavamo che la nostra bici si trasformasse in una motocicletta rombante e veloce per sfrecciare via più veloce del vento. Imitavamo il rumore di qualsiasi cosa a motore con la voce e facevamo quelle che chiamavamo “sgommate”, ovvero il rumore delle gomme che slittano sull’asfalto in partenza e fischiano. Da bambini si ha una grande immaginazione e si desidera crescere in fretta per poter godere delle libertà che hanno i più grandi senza essere in grado di vedere anche il rovescio della medaglia, ovvero gli oneri e le responsabilità. Effettivamente avevamo più di un esempio che ci illuminava, che erano tutti i nostri fratelli più grandi. Gianluca poi aveva un fratello con un nome inusuale ma dal significato molto importante: forte, robusto, coraggioso. Aveva tanti anni in più di noi e ci sembrava molto grande, aveva anche la patente e guidava la macchina. Per tutta la vita il fratello è stato per Gianluca un esempio, una protezione, un amico: ne andava fiero e ne parlava sempre come una persona speciale. Un giorno suo fratello ci invitò con lui e un suo amico e in automobile, una fiat 128 verde, andammo al SIOA, la fiera dell’informatica. Fu un’esperienza bellissima; per noi, vedere le ultime tecnologie informatiche era entusiasmante. Mi colpirono i nuovi tecnigrafi computerizzati che riuscivano ad utilizzare il pennino di china in modo perfetto senza neanche una sbavatura o un errore e con una velocità incredibile. Noi che eravamo appassionati di disegno non credevamo ai nostri occhi.

Quando facevamo i giri in bici, al pomeriggio oppure in estate, passavamo sempre dal chiosco della Nanda in centro vicino alla piazza principale, prendevamo le caramelle gommose di coca cola frizzante della Haribo oppure i ghiaccioli con lo stecco in legno, disponibili in tantissimi gusti, anche Coca Cola. Se lo stecco avesse presentato la scritta vincente allora si avrebbe avuto diritto a un ghiacciolo gratis. Nei mesi più caldi eravamo capaci di mangiarne anche una decina con conseguenti mal di pancia serali.

A mezzogiorno invece passavamo nel corso principale dal panificio Nora a prendere la pizza al taglio e capitava anche che per mille lire ci regalasse tutta quella che era rimasta e anche qui, se avessimo esagerato, sarebbe stato ancora un bel mal di pancia.
Una delle prime volte che andai a casa sua, al pomeriggio dopo pranzo, eravamo da soli e prima di studiare ovviamente ci mettemmo a giocare. Eravamo soli perché sia i genitori di Gianluca sia il fratello erano al lavoro e quindi arrivavano più tardi, mentre noi uscivamo da scuola alle tredici e sua madre o sua nonna gli facevano sempre trovare il pranzo pronto. Il padre guidava il camion e a noi sembrava gigante da quanto erano grandi la cabina e le ruote. Spesso faceva viaggi lunghi, partiva la mattina presto e tornava tardi la sera dopo più di mille chilometri. Gianluca aveva i petardi, quelli piccolini, e in terrazzo incominciammo a farli scoppiare finché un vicino di casa non aprì la finestra e ci gridò di smettere. Allora decidemmo di tornare in casa e dopo un bel giro in bici ci guardammo Hazzard in tv. Ai nostri occhi, Bo e Luke erano guidatori molto abili, Daisy ci sembrava una ragazza bellissima.


In estate qualche volta andavamo a Fano al mare in campeggio dove la famiglia di Gianluca aveva una roulotte parcheggiata in piazzola. Io e Gianluca passavamo qualche giorno con i suoi nonni in campeggio mentre tutti erano ancora a casa al lavoro. La nonna di Gianluca, la signora Olga, cucinava benissimo e sempre alla bolognese. Incominciava già di prima mattina a fare la spesa e a mettere sul fuoco le pentole con i cibi più succulenti: il ragù non mancava quasi mai. I nonni erano severi ma gentili, sull’educazione non transigevano ma erano molto umani e comprensivi. Noi stavamo tutto il giorno in acqua e ci divertivamo tantissimo. Tornammo in treno da soli ascoltando con il walkman tutte le ultime hit musicali del momento, anni Ottanta: Jump dei Van Halen era la nostra preferita.

In estate dopo la seconda media purtroppo ho dovuto cambiare casa e sono tornato ad abitare in città. Quando lo dissi a Gianluca era triste, ma vedendo che io ero molto preoccupato di lasciare gli amici, cercò di incoraggiarmi ad affrontare il nuovo cambiamento. In settembre incominciai la terza media in una scuola del centro città, ma ovviamente non è facile cambiare classe l’ultimo anno, anche se incontrai due miei compagni delle scuole elementari. Sì, infatti i primi tre anni delle scuole elementari li avevo fatti in città e in quarta mi sono trasferito nel nostro paese di pianura. In realtà il quarto e quinto anno delle elementari in paese non furono tanto semplici: cambiare classe non è mai facile per un bambino. Il maestro era molto simpatico e ci faceva usare nove quaderni diversi compreso quello della settimana enigmistica che serviva per alleggerire la scuola nei momenti più intensi. Il maestro era molto buono e umano e sapeva come motivare i bambini e soprattutto come trasmettere anche l’educazione oltre che le nozioni culturali. Gianluca alle elementari frequentava un’altra sezione e non ci conoscevamo.
Tornando al mio trasferimento in città in terza media, per fortuna dopo un mesetto i miei genitori decisero di rimandarmi nella scuola media in paese. Il primo giorno di scuola nella mia classe i miei compagni non sapevano nulla del mio ritorno, quindi fu una sorpresa per tutti, anche per Gianluca. Ovviamente ci mettemmo subito in banco insieme, eravamo io, lui, Giampaolo e Marco. Non facevamo altro che ridere anche per le cose più sciocche. Ricordo ancora una lezione di matematica in maggio con le finestre dell’aula aperte e fuori gli operai del comune che potavano gli alberi con la motosega e noi che non riuscivamo a stare seri neanche un minuto sentendo il motore che andava e uno di noi che imitava la motosega.
A carnevale a febbraio Gianluca mi informò che una ragazzina di seconda media aveva una simpatia per me e fece in modo che ci incontrassimo la domenica per farci conoscere. Proprio in occasione del carnevale il padre di Gianluca mi parlò in disparte per chiedermi di stargli vicino e incoraggiarlo a studiare. A dire il vero nemmeno io ero un grande studioso alle scuole medie. Suo padre mi disse che Gianluca era un ragazzo intelligente e poteva migliorare il suo profitto scolastico, solo che ogni tanto non aveva molta voglia di studiare, come la maggior parte dei maschietti di quell’età.
Durante la terza media, grazie alla professoressa di italiano, abbiamo messo in scena una bellissima commedia teatrale sulla famiglia patriarcale locale dell’Ottocento. Io impersonavo uno dei figli e Gianluca era mio padre. Fu un’esperienza bellissima e ricordo che un nostro compagno di classe riprese anche tutta la recita con le ultime tecnologie di allora, ovvero la telecamera da ripresa VHS. Finita la recita nei camerini facemmo tutti festa assieme alle ragazze della scuola di ballo della professoressa di ginnastica e danza. Gianluca era rimasto impressionato ed estasiato dalla sua bellezza e quando aveva occasione le parlava con gentilezza per farle capire con cortesia quanto fosse carina.

Alla fine della terza media la nostra classe era talmente affiatata che sapendo che era l’ultimo giorno di scuola molti di noi si commossero all’idea che l’anno dopo non saremmo più stati insieme in quel clima di amicizia e allegria. Avevamo realizzato in occasione della recita un libro bellissimo che raccoglieva tutte le informazioni storiche e documentali raccolte nell’archivio comunale. Siamo stati diverse volte in comune per cercare i dati e le informazioni necessarie per ricostruire la storia delle nostre terre di centocinquant’anni prima: i cognomi delle nostre famiglie comparivano quasi tutte, il numero di componenti, la provenienza, gli spostamenti, i mestieri e tanti altri dati. L’ultimo giorno di scuola, in preda alla commozione, ci scrivemmo molte dediche su questo libro e anch’io ne raccolsi tante… ovviamente anche da Gianluca, che scrisse: «mio figlio è un gran disegnatore di auto, simpatico, a volte un po’ cocciuto, duro da rimuovere, duro come la roccia di travertino, però a pensarci un po’ bene mi piacerebbe quando sarò grande avere un figlio buono e gentile come te, se hai bisogno chiamami (tel xxyyzz) ciao da tuo padre Gianluca, continua a disegnare e ti raccomando di fare carriera, [firmato] Gianluca».

Noi ragazzi della terza c di quell’anno scolastico eravamo riusciti in tre anni a costruire un clima sereno e di gioiosa amicizia e quelle dediche erano molto sincere. Eravamo in tanti e i nomi me li ricordo quasi tutti in ordine sparso: Gianluca, Giorgio, Giampaolo, Marco, Massimo, Luca, Patrizia, Romina, Roberta, Sabina, Stefania, Michela, Monia, Daniele, Manolo…
L’adolescenza
Alle superiori Gianluca decise di iscriversi alla scuola per pasticceri. Era in città poco distante dalla casa dove abitavo io. I miei genitori mi iscrissero al liceo scientifico ed effettivamente incominciò un periodo molto difficile dove l’adolescenza, le difficoltà dello studio, il cambiamento della casa dal paese alla città furono un mix duro da affrontare. Quando potevo andavo al paese a trovare i vecchi amici e qualche volta con il motorino andavo a trovare Gianluca all’uscita della sua nuova scuola e mi raccontava le loro lezioni in laboratorio. D’estate con le vacanze ci si vedeva in paese con il motorino, il cinquantino, e si andava a fare qualche giro con gli amici. Ogni volta che ci vedevamo nel fine settimana decidevamo di andare in un paese diverso, confinante con il nostro, per vedere se riuscivamo a incontrare e conoscere ragazze della nostra età e soprattutto come scusa per fare chilometri in motorino.
Finalmente a sedici anni con la moto 125 di cilindrata, più potente, diventava tutto più vicino, anche il paese, e ci vedevamo più spesso, soprattutto d’estate. La mia era una bellissima Aprilia Tuareg 125 blu e gialla. Avevo dipinto anche il casco della stessa tonalità di blu, aggiungendo lettere gialle adesive in ordine sparso e coprendole con lo spray trasparente, come mi aveva insegnato il mio amico Massimo che aveva una Aprilia Etx nera. Si andava nella via dove avevamo la compagnia e si stava tutti insieme a parlare. La via era in una zona industriale artigianale del paese ed era un luogo abbastanza lontano dalle abitazioni in modo da non dare troppo fastidio. La compagnia era abbastanza numerosa e alla sera verso le ventuno arrivavano gli amici senza darsi alcun appuntamento: i cellulari e gli smartphone non esistevano, al massimo il telefono fisso. Si stava a scherzare insieme e poi si decideva cosa fare; raramente nel fine settimana si decideva di andare in discoteca alle Grotte o al Kiwi oppure a vedere un concerto dei nostri cantanti preferiti, come Vasco Rossi o gli U2, ma la maggior parte delle volte si stava semplicemente tutti insieme a parlare, a ridere e a scherzare e questo per noi era divertimento e felicità. Quando arrivavano le undici, la sera, le ragazze facevano quasi tutte ritorno a casa e noi invece restavamo fino a quasi mezzanotte, finché non si decideva di andare in pizzeria, la classica margherita e poi il mascarpone o il profiterole, oppure andavamo in qualche paninoteca come il Barone che era in una frazione lontana dal paese. D’estate si mangiava all’aperto in mezzo all’aria fresca di campagna. Per arrivare al Barone la strada era stretta e piena di rettilinei e curve a esse e quindi era divertente piegare la moto finché le pedane non toccavano l’asfalto, poi nella parte finale c’era il rettilineo dove si raggiungevano velocità elevate. Di solito prendevamo un panino e una coca cola oppure un piatto di pasta. A dire il vero io, tra gli amici della compagnia, ero uno dei pochi che non lavorava ancora e preferivo spendere la mia paghetta mensile per la benzina della moto che per il cibo. Al Barone per ordinare avevano un menù diviso per tipologia di piatto, dai panini ai primi ai contorni ai dolci, ma poi la comanda si doveva compilare in modalità self-service senza l’aiuto del cameriere e aveva uno schema molto semplice: si mangiava bene e i dolci erano speciali, soprattutto le coppe e gli affogati. Dopo il pasto di mezzanotte capitava ogni tanto che io e Gianluca continuassimo a parlare insieme, gli argomenti erano tanti e le idee, i sogni e le speranze erano parte di noi e della visione del nostro futuro. Eravamo capaci di andare avanti fino alle prime ore del mattino e se non avessi proposto io la chiusura della serata Gianluca sarebbe andato dritto fino all’ora di andare al lavoro. Io per fortuna invece potevo dormire fino a pranzo, in fin dei conti era estate e alle scuole superiori le vacanze lunghe erano uno dei periodi più belli dell’anno: non solo per il clima estivo, i profumi di stagione, come quello dei tigli in giugno, i giri in moto ma anche per il senso di totale libertà e benessere che dava spazio all’elaborazione di nuove idee e progetti per il futuro.

Anche per il mio diciottesimo compleanno andammo al Barone a mangiare un panino. Quell’estate dovevo partire per la Sardegna con gli amici delle scuole superiori della città ma a Firenze rimasi a piedi con la moto e non ci fu verso di proseguire. Andai a ritirare la moto con mio fratello utilizzando il carrello gentilmente prestato dal meccanico di moto del paese dal quale ogni tanto io e Gianluca andavamo a passare qualche ora per operare sui motori. Tornato a casa andammo tutti insieme con la compagnia a Cesenatico in una pensione familiare che ci mise in un’ala isolata per non dare fastidio ai clienti con le famiglie. Noi eravamo in sette in una stanza e al mattino l’aria era irrespirabile, soprattutto per le scarpe maleodoranti di qualche amico. Gianluca aveva una fiat 500 beige usata, con prestazioni da utilitaria, ma a Cesenatico avevamo preso di mira una bellissima rotonda sul mare che percorrevamo sempre tutta in derapata. Una sera stanchi dei cattivi odori della camera della pensione decidemmo di dormire in auto nel parcheggio della spiaggia a finestrini aperti e al mattino presto andammo a prendere i bomboloni alla crema. Dopo la vacanza a Cesenatico andammo a trovare i genitori di Gianluca vicino a Fano dove avevano ancora la roulotte. Il mare era bellissimo e fu una gran bella vacanza.
Arrivata la fine delle scuole superiori, all’università incominciai realmente a studiare e quindi ero impegnato tutto il giorno fra la lettura e lo studio e le lezioni di matematica che impartivo per guadagnarmi qualche soldino. Fu un periodo lungo durante il quale mi sono perso di vista con gli amici del paese. Solo dopo la laurea e dopo aver trovato lavoro tornai ad abitare in paese e riallacciai i rapporti con una gran parte dei vecchi amici dell’infanzia e dell’adolescenza.
La famiglia e i figli, il lavoro.
Gianluca nel tempo ha deciso di cambiare lavoro e di passare dal mondo della pasticceria a quello delle lavorazioni meccaniche di precisione. Era portato per entrambi i lavori, tuttavia per motivi di salute e allergie varie aveva deciso di cambiare settore. La meccanica gli era sempre piaciuta e aveva passione e metodo. Nell’ultima azienda nella quale lavorava si occupava di realizzare stampi su misura per macchine automatiche di produzione industriale per stampare materie plastiche. Mi diceva sempre che ogni stampo era un pezzo unico e speciale, preciso, quasi un’opera d’arte, che doveva servire per produrre un numero molto elevato di pezzi di plastica particolari.
Per Gianluca la famiglia era la parte più importante della vita. Aveva avuto la fortuna di incontrare la donna della sua vita alla quale è sempre stato legato sentimentalmente. Hanno avuto due figlie che assomigliano tantissimo a entrambi i genitori. Io e mia moglie siamo andati a salutarli in occasione di entrambe le nascite.
Poi gli anni sono trascorsi come se fossero mesi, anch’io mi sono sposato e Gianluca era al mio matrimonio con sua moglie, è nata anche mia figlia e appena è cresciuta abbiamo avuto il piacere di passare ogni tanto qualche ora insieme, in piscina d’estate o a cena d’inverno o in occasione di qualche capo d’anno con amici.
Gianluca amava i motori e la tecnologia, apprezzava la qualità e preferiva acquistare meno cose ma di buona fattura. Sia nei vestiti sia nelle automobili utilizzava marche di alto livello. Aveva un giubbotto da aviatore molto pesante e amava le Audi con assetto rigido e motore sportivo. L’auto la teneva molto bene, sempre pulita e perfetta. Gli piaceva girare con l’automobile senza meta per parlare insieme, vedere se si trovavano amici in giro per il paese e anche per il piacere di guidare.

Nonostante il passare degli anni continuavamo ad avere un’ottima compatibilità di carattere, infatti spesso bastava uno sguardo, un gesto o una parola e ci intendevamo subito. Inoltre, ci stimavamo e ci rispettavamo reciprocamente, amici tra esseri umani alla pari, sullo stesso piano, che affrontavano vite diverse anche se con idee spesso diverse. Eravamo in grado di comunicare fra di noi con tanta franchezza anche su argomenti complessi o difficili, ci dicevamo quello che pensavamo con cordialità e rispetto.
Un pomeriggio di settembre, diversi anni fa, io e mia figlia siamo andati nel sottotetto di casa nostra e guardando i vecchi libri che avevo conservato fin da ragazzo, abbiamo trovato vecchi ricordi di quella recita fatta alla fine della scuola media alla quale ha partecipato anche Gianluca. In fondo al libro della recita erano riportate tutte le dediche che l’ultimo giorno di scuola ci eravamo scambiati tra quasi tutti i compagni di classe. Il mio compagno di banco, Gianluca nella recita faceva la parte di mio padre. Nella dedica, come ho riportato nelle prime pagine di questo scritto, mi confessò che da grande avrebbe voluto avere un figlio proprio come me. Allora ho deciso di scattare una foto alla dedica e di inviarla via chat sul telefonino al mio amico Gianluca che non sentivo ormai da quasi un paio di anni. Ogni tanto per i motivi più vari capitava che non ci sentissimo per diversi mesi. Quasi subito Gianluca mi rispose e mi chiese per quale motivo avessi inviato quel messaggio, poi mi chiamò al telefono e molto meravigliato dell’accaduto mi disse che purtroppo a fine luglio suo padre era venuto a mancare.
Gianluca mi tornò ancora a trovare nelle settimane successive e visto che ogni tanto aveva piacere di fumare una sigaretta che si confezionava da solo utilizzando il suo tabacco preferito, ne approfittavamo per lasciare le mogli in casa e andare in giardino a parlare insieme. Dopo la morte di suo padre al quale era molto attaccato, qualcosa era cambiato in lui. Infatti, anche se non era mai stato molto attratto dalla religione e da relativi argomenti, questo evento aveva suscitato in lui domande e curiosità sull’esistenza di una vita dopo la morte.
Qualche settimana dopo questo incontro Gianluca mi venne a trovare dicendo che doveva farmi una sorpresa speciale. Ci incontrammo nei giardini sotto casa mia e mi portò un fascicolo di carta di vari colori e mi disse che li aveva portati per me e che potevo tenerli. Era stato difficile trovarli ma aveva avuto una occasione unica e speciale per averli: erano le copie di bellissimi progetti di design di automobili sportive. Per me fu un regalo davvero molto gradito anche perché andava a legarsi alle origini della nostra amicizia quando la passione per i motori per noi era intensa; in qualche modo poi questo tema si ricollegava al messaggio che mi aveva scritto circa quarant’anni prima al termine della terza media nel quale mi augurava di fare carriera seguendo il mio sogno di diventare un designer di auto.

L’ultimo giro insieme
Nel 2020 in estate ci siamo messi d’accordo e siamo andati a fare un bel giro in bici insieme. Siamo partiti dal paese che si trova sulla linea ferroviaria del Brennero e in treno abbiamo caricato le bici e siamo andati a Bolzano.
Abbiamo preso la pista ciclabile dell’Adige e siamo scesi fino a Trento. Gianluca era appassionato di bici e di ciclismo, infatti aveva passato un periodo di allenamento intensivo del quale non aveva ancora perso gli effetti benefici. Io invece da dilettante ormai fuori allenamento da decenni, con la bici muscolare avevo qualche difficoltà a fare così tanta strada, parliamo di cinquantacinque chilometri.

Era molto caldo e di pomeriggio il vento tirava contro di noi ovvero da sud verso nord. In alcuni tratti nei quali ero in difficoltà Gianluca era talmente allenato che riusciva a pedalare per la sua bici MTB e aveva anche la forza di spingermi per aiutarmi ad andare più veloce. Ci siamo fermati al bicigrill per una pausa e per ristorarci: Gianluca ha preso un panino e una birra io invece un dolce e una Gatorade. Durante la giornata abbiamo scattato tante belle foto. Alla fine, siamo arrivati a Trento abbastanza distrutti ma in tempo per prendere uno degli ultimi treni per il paese. Nel viaggio in treno un bellissimo tramonto estivo con panorami sulle pianure coltivate ci ha accompagnato fino alla stazione del nostro paese dove siamo arrivati verso le dieci col buio e un bel fresco serale.

L’anno successivo io ho acquistato una bici elettrica tipo olandese da donna, bianca e rossa, che ho fatto vedere subito a Gianluca il giorno dopo l’acquisto. A casa sua in giardino aveva costruito un gazebo con suo padre e aveva realizzato una sala giochi con pc e video game dotati di postazioni di comando che riproducono la seduta di una vera automobile. A lui piacevano molto e si allenava a pilotare auto sportive oppure aerei per fare viaggi simulati sul video game e atterrare negli aeroporti di tutto il mondo.
Eravamo rimasti d’accordo che prima o poi saremmo andati ancora a fare un bel giro insieme. Poi sono passati ancora i mesi come se fossero giorni e anche a causa di alcuni problemi miei personali e familiari non ho più avuto modo di sentire Gianluca se non per fargli gli auguri per le feste via whatsapp.
In diverse occasioni, negli ultimi mesi, ho pensato a Gianluca e volevo sentirlo per chiedergli come stava e per trovare un’occasione per vederci anche solo per una chiacchierata veloce. Una notte mi è anche capitato di sognarlo: era andato ad abitare nella casa dove abitava sua nonna Olga, ma sua nonna era già venuta a mancare qualche anno prima. E la cosa strana era che nel sogno era andato ad abitare in quella casa senza la sua famiglia. Poi stupidamente non l’ho più chiamato finché un giorno ho visto arrivare un messaggio sul cellulare da sua moglie e subito mi sono preoccupato; il messaggio diceva che Gianluca era venuto a mancare il giorno prima.
Il funerale
La moglie di Gianluca mi ha raccontato gli ultimi mesi di malattia. Sono stati molto difficili e impegnativi ma Gianluca aveva affrontato la malattia con coraggio, dignità e carattere come era sua abitudine affrontare le difficoltà…e mentre mi descriveva il suo comportamento lo riconoscevo come l’ho sempre conosciuto negli ultimi quarant’anni e oltre di forte amicizia.
Ora è con suo padre con il quale aveva un legame di reciproco affetto e ammirazione.
La moglie mi ha detto che quando Gianluca era in ospedale in condizioni molto critiche è accaduto un episodio molto particolare. Nella nostra compagnia avevamo un caro amico di nome Roberto, che aveva un carattere molto speciale, una persona particolarmente gentile e buona. Gianluca e Roberto erano molto amici e condividevano tanti interessi fra i quali anche la passione per la bici. Roberto era venuto a mancare due anni prima per una malattia incurabile che in poche settimane lo aveva portato via. La moglie di Roberto era rimasta in contatto con Gianluca anche durante la malattia in questi ultimi mesi. Un giorno la moglie di Roberto si è svegliata in lacrime perché, dopo tanto tempo, aveva sognato il marito che era in compagnia di Gianluca e questo le aveva fatto venire ansia e preoccupazione, allora è andata subito in ospedale a vedere come stava Gianluca. Il giorno successivo Gianluca è venuto a mancare.
Al funerale erano davvero tante le persone che hanno voluto venire a dargli un ultimo saluto in ricordo delle sue buone qualità. Tantissime persone e amici che in alcuni casi non si vedevano anche da tanto tempo. È stata una triste occorrenza ma rivedersi è stato anche un modo per ricordare il passato e i tempi belli trascorsi insieme: Gianluca ha trovato il modo di farci fare anche qualche sorriso nonostante il contesto, ma tutti abbiamo provato tanto dispiacere e tristezza per non averlo più con noi.
Gianluca era uno dei miei migliori amici e speravo di poter arrivare in tarda età potendo contare anche sulla sua compagnia; invece, ci ha lasciato prematuramente in pochi mesi, ma questo non è un addio, è un arrivederci.
Di seguito una poesia che aiuta a riflettere sul concetto di trapasso.
Questo argomento merita una riflessione ampia a mente aperta per cercare di avvicinarsi alla verità.
Dicono che prima di entrare in mare
il fiume tremi di paura.
A guardare indietro
tutto il cammino che ha percorso, i vertici, le montagne,
il lungo e tortuoso cammino
che ha aperto attraverso giungle e villaggi.
E vede di fronte a sé un oceano così grande che a entrare in lui può solo
sparire per sempre. Ma non c’è altro modo.
Il fiume non può tornare indietro. Nessuno può tornare indietro.
Tornare indietro è impossibile nell’esistenza.
Il fiume deve accettare la sua natura e entrare nell’oceano.
Solo entrando nell’oceano la paura diminuirà,
perché solo allora il fiume saprà
che non si tratta di scomparire nell’oceano ma di diventare oceano.
(Khalil Gibran)
Il viaggio verso l’ignoto
Se mi chiedete cosa ci sarà dopo che il nostro cuore cesserà di battere vi dico il mio punto di vista oggi, ovvero che in quell’attimo avremo sicuramente paura dell’ignoto e della verità sull’argomento più controverso di sempre, dove la scienza ancora non è arrivata e non arriverà mai perché si occupa solo dello studio dei fenomeni materiali. In quel momento molti di noi si aspetteranno che tutto si spenga come un computer che improvvisamente cessa di ricevere la corrente elettrica e il display si annerisca improvvisamente e tutto diventi buio, nero e non si senta più nulla, silenzio assoluto. Io invece la penso in modo diverso. Dopo qualche attimo ci accorgeremo che siamo ancora consapevoli e coscienti solo che non abbiamo più una dimensione materiale, un corpo umano, un peso in meno, una leggerezza che va oltre l’immaginabile perché ci esime dal dover pensare a come prendersi cura di tutti i nostri bisogni materiali e quindi rasserena e tranquillizza allo stesso tempo, una leggerezza che poi si accompagna al chiarore che gradualmente appare insieme a una musica fatta di suoni e cori celestiali sempre più chiari e limpidi. E voi direte giustamente: ma come pensi che si possa sentire e vedere se il tuo corpo non è più in vita? La risposta sta nei sogni che facciamo quando siamo nel pieno del nostro sonno: quando sogniamo sentiamo benissimo anche se non c’è in realtà nessun rumore materiale, e così vediamo anche se in realtà non siamo in presenza di alcuna luce. Il decesso del corpo umano è l’inizio di un nuovo viaggio in una dimensione che già ci apparteneva in vita, la dimensione della nostra anima, la pennellata di luce, fatta della stessa materia di cui sono costituite le virtù, come l’amicizia, la comprensione, la generosità, la franchezza, la sincerità, la premurosità, l’amore, la fidatezza, l’accuratezza, la curiosità, la responsabilità, l’ottimismo, la perseveranza e tante altre ancora, che anche Gianluca ci ha mostrato senza sfoggiarle a parole, bensì esprimendole con le sue azioni, frutto di consapevolezza, pensiero e decisione di agire secondo queste linee guida, utili agli esseri umani per comportarsi secondo la nobiltà innata del nostro rango di esseri viventi speciali, diversi e potenzialmente superiori agli animali, basta volerlo dopo aver ricevuto la migliore educazione.
La morte non è inesistenza, per due buone ragioni: la prima è che anche dal punto di vista materiale, per arrivare a costituire un essere umano, si parte dalle sostanze minerali che entrano a far parte di esseri viventi vegetali i quali vengono poi assunti da animali che infine vengono a far parte assieme ai vegetali del nutrimento degli esseri umani e poi il ciclo ricomincia nuovamente, quindi anche dal punto di vista materiale non possiamo parlare di morte come una stato di assoluta inesistenza materiale. Sempre sotto questo aspetto, nel mondo materiale, tutto si trasforma ma nulla si distrugge, ovvero i composti di sostanze elementari si scompongono e si ricompongono ma le sostanze elementari o sostanze semplici rimangono tali. Similmente dal punto di vista immateriale ovvero dell’anima, essendo questa non costituita da un composto di altri elementi, bensì una sostanza semplice ed elementare, non è destinata a scomporsi, bensì è indissolubile ed eterna. La differenza fra la materia e lo spirito dell’anima è che nel mondo materiale tutto si aggrega e si disgrega, ricordando l’aggregazione il concetto di unità, crescita e vita e la disgregazione il concetto di disunità, decrescita e morte materiale, mentre l’anima, dopo la vita materiale, è destinata a progredire eternamente verso la perfezione.
La morte, vista da alcuni come una fine, il termine della vita dopo la quale non vi è nulla, a mio parere è simile a una metamorfosi paragonabile al bruco che diventa farfalla e spicca il volo.
Di seguito una breve storia per invitare a riflettere su questo argomento.
Nel grembo di una madre c’erano due bambini. Uno chiede all’altro: «Credi nella vita dopo la morte?»
L’altro risponde: «Perché? certamente. Ci deve essere qualcosa dopo questa. Forse noi siamo qui per prepararci per quello che ci sarà dopo».
«Sciocchezze», dice l’altro, «Non esiste nulla. E poi, come sarebbe l’altra vita?».
«Non lo so, ma forse ci sarà più luce di qui. Forse ci sarà possibile camminare con le nostre gambe e mangiare con la nostra bocca».
L’altro dice: «Ma è assurdo! Camminare è impossibile. Mangiare con la bocca? Ridicolo!! È il cordone ombelicale che ci dà da mangiare. La vita dopo la morte è da escludere. E poi… il cordone ombelicale è troppo corto!».
«Penso che ci sia qualcosa e forse è diverso da quello che si trova qui». Risponde l’altro: «Nessuno è mai tornato da lì. La morte è la fine della vita, e dopo di questa non c’è altro che oscurità e ansia e ciò non ci porta da nessuna parte».
«Beh, non lo so», dice l’altro, «ma sicuramente vedremo la mamma e lei si prenderà cura di noi».
«Mamma? Ehi, Non mi dire che tu credi alla mamma? E dove sarebbe adesso?».
«Beh, lei è tutt’intorno a noi. È in essa che viviamo. Senza di lei non ci sarebbe questo mondo».
«Mah, io non la vedo, quindi è logico che non esiste».
Al che l’altro risponde: «A volte, quando sei in silenzio, la puoi sentire, la puoi percepire. Credo che ci sia un’altra realtà dopo questa, e… forse…, noi siamo qui proprio per prepararci a quella».
Di seguito alcune delle principali virtù.
Accettazione
Adornare
Affidabilità
Allegria
Amore
Apertura
Apprezzamento
Assertività
Autodisciplina
Bellezza
Beneficenza
Certezza
Compassione
Comprensione
Consapevolezza
Considerazione
Contentezza
Cooperazione
Coraggio
Cordialità
Cortesia
Costanza
Creatività
Decisione
Determinazione
Devozione
Dignità
Diligenza
Discernimento
Distacco
Dolcezza
Eccellenza
Empatia
Entusiasmo
Equità
Fede
Fedeltà
Fiducia
Flessibilità
Fortezza
Forza
Generosità
Gentilezza
Gioia
Giustizia
Gratitudine
Idealismo
Impegno
Indipendenza
Iniziativa
Integrità
Intenzionalità
Lealtà
Meraviglia
Misericordia
Moderazione
Modestia
Nobiltà
Obbedienza
Onestà
Onore
Ordine
Ottimismo
Pazienza
Percettività
Perdono
Perseveranza
Preghiera
Premurosità
Pulizia
Purezza
Resilienza
Resistenza
Responsabilità
Rettitudine
Rispetto
Riverenza
Sacrificio
Saggezza
Semplicità
Serenità
Servizio
Sincerità
Soggezione
Speranza
Tatto
Tolleranza
Tranquillità
Umanità
Umiltà
Unità
Utilità
Veridicità
Zelo
Merita trovare il tempo per approfondirle singolarmente, per riscoprirne il significato e come una scatola piena di colori, ripensare meglio, a seconda delle situazioni, quale è quella più giusta da applicare. Un consiglio prezioso, incominciare dalla sincerità, la prima e più importante delle virtù, cercando, cosa a volte non semplice, di applicarla per prima cosa verso noi stessi.
Gianluca è venuto a mancare nel pieno della sua maturità lasciando moglie e figlie. Non è facile accettare un evento come questo. Esistono anche situazioni in cui persone ancora più giovani lasciano prematuramente questa vita e genitori, parenti e amici non trovano pace per tanto tempo.
Per chi crede che dopo questa vita il cammino prosegue con la vita eterna dell’anima, possiamo pensare di paragonare l’anima degli esseri umani a una pianta. Il giardiniere vede e sa che a un certo punto per la crescita della pianta è necessario trapiantarla in un vaso più grande o in un terreno più fertile. Il trapianto non fa appassire o morire la pianta, al contrario la fa crescere e prosperare con vigore e produrre frutti. Questo è come un segreto nascosto che invece è ben noto al giardiniere, ma le piante che non conoscono il significato completo di questa grazia, possono pensare che il giardiniere nella sua ira abbia sradicato l’arbusto.

Ciao Gianluca, la prossima volta che ci vediamo andiamo a fare un bel giro in bici insieme nel nuovo giardino.

